Un’osteopata in Conservatorio

Al centro del disegno vi è una tastiera di pianoforte colorata al di sopra e sotto della quale ci sono due pentagrammi in cui, al posto delle note, ci sono trifogli verdi. In primo piano il cappello verde a cilindro del cappellaio matto di "Alice nel paese delle meraviglie"Un ristorante. Una cena. Un gruppo di amici.
«Ehi, ragazzi, guardate che bello: un pianoforte!»
Coppie di occhi puntati come luci laser.
Bisbiglio che da lieve va in crescendo.
Una voce su tutte.
«Ci suoni qualcosa?»
«No.»


Un ambulatorio di osteopatia. Un trattamento. Una paziente.
Il passato: clavicembalista. Molto famosa.
Il presente: traduttrice e maestra. Buddista.
Il pedaggio: fibromialgia.

Non si parla di musica tra noi.
Non ne abbiamo mai parlato pur conoscendo tutto l’una dell’altra.
Non si parla di ciò che è vivo e si ama: lo si custodisce e tramanda.

Ma accade che, in un giorno del passato recente
«Le tue dita scorrono veloci sul mio corpo come sulla tastiera del pianoforte …»
«Grazie! … in effetti non ho mai smesso di suonare, ho solo cambiato strumento.»


All’inizio della carriera osteopatica pensavo che il paziente fosse il pianoforte, adesso soche le dita dell’osteopata sono lo strumento che il corpo del paziente utilizza affinché ogni sua vibrazione entri in reciproca risonanza… e così sono in grado di lavorare per ore, seduta sul mio sgabello da pianista, senza che mi assalga la sindrome della musicista sotto stress da performance con tutto il suo corollario di dolori.
Ho compreso il significato di suonare.

La postura e il movimento del musicista in relazione al suo strumento, elementi fondamentali per la qualità dell’esecuzione, hanno un impatto notevole dal punto di vista ergonomico.

E’ questa la ragione per cui la maggior parte dei musicisti sperimenta, durante la vita professionale, disturbi (dei sistemi neuro-muscolo-scheletrico) tali da limitarne la performance o, in alcuni casi, indurli a interrompere l’attività.

Osservando un’orchestra, ciò che appare evidente fin da subito è che il musicista suona seduto in una posizione definita in base allo strumento, all’organigramma e al ruolo che ricopre.
L’organizzazione e il numero degli elementi di un’orchestra dipendono dalla tipologia della rappresentazione: durante un concerto sinfonico il musicista suona sul palcoscenico mentre durante un’opera in uno spazio ristretto, detto “buca”, in cui è obbligato a limitare l’ampiezza del suo gesto espressivo anche a causa dell’utilizzo del leggio che ha in comune con un altro musicista; è quindi costretto ad utilizzare posture differenti (a seconda che debba suonare a destra o a sinistra della partitura) mantenendo nel contempo un continuo contatto visivo con il direttore.

Per l’osteopata diventa quindi fondamentale conoscere la dinamica articolare del musicista, in modo da facilitarne il recupero e contribuire al mantenimento della funzione, finalizzati all’utilizzo e differenziati in base alla tipologia dello strumento e al lato del trauma, soprattutto nei casi in cui l’uso delle mani è asimmetrico (esempio: in base all’utilizzo o meno della mano dominante, negli strumenti ad arco e a corda, per la stessa disfunzione vengono attribuiti significato e prognosi differenti).

Le abilità senso-motorie dei musicisti hanno qualità specifiche: l’apprendimento inizia in età precoce nel contesto del gioco, le abitudini a movimenti stereotipati sono praticate per lunghi periodi di tempo con un graduale incremento del grado di complessità; inoltre, attraverso il feedback uditivo, l’attività motoria è estremamente controllabile sia dall’ io-strumentista che dal sé-ascoltatore.

Le maggiori problematiche dei strumentisti sono dovute all’utilizzo eccessivoimproprio (cfr.“missuse syndrome”, Lippman, 1991) della muscolatura.
I distretti maggiormente colpiti dalla sindrome dolorosa muscolare regionale sono colonna cervicale e dorsale, cingolo scapolo-omerale, avambraccio e mano.
Le cause vanno cercate nella costituzione fisica dell’individuo (forza e potenza muscolare, agilità, lassità legamentosa), nel normale accadimento di circostanze esterne (cambio di insegnante, cambio di strumento, repertorio difficile, scarsa tecnica strumentale, scarsa applicazione), oppure sotto il profilo psicologico (ansia, stress, personalità sensibile).
Ci sono determinate circostanze che sembrano avere un ruolo importante nello sviluppo delle patologie degli arti superiori dei musicisti, come ad esempio la sofferenza cronica oppure la distonia funzionale (“crampo del violinista”, “crampo del pianista”).
Per sofferenza cronica si intende la presenza di dolore accompagnato da tensione (localizzati sul ventre muscolare o alla giunzione muscolo-tendinea e non sulle articolazioni o sui tendini) e da una precoce comparsa del senso di affaticamento e di crampi, tumefazioni o alterazioni della sensibilità.
La distonia funzionale “è un disturbo che compare in seguito ad un atto preciso, ben definito, che comporta incoordinazione e mancanza di controllo del gesto abitualmente automatico” (cfr. André Thomas).

Tutti i movimenti sono legati alle emozioni elaborate dal sistema limbico.
Il contatto quotidiano con la materialità dello strumento porta alla considerazione dell’aspetto più profondo della natura della musica, intesa come un vero e proprio sistema di segni capace di operare un collegamento tra il sensibile (sonorità) e l’inesprimibile (affettività).
Lo strumentista, colui che ogni giorno si misura con il fascino della musica, sperimenta su di sé il legame che si instaura tra la propria capacità di esprimere e il proprio senso della temporalità, tra la fisicità dello strumento, che prolunga la propria voce, e il rimando esistenziale del proprio gesto. In questo spazio si gioca tutta la sua possibilità di espressione come anche il proprio successo o insuccesso, la propria gioia di suonare o la propria angoscia davanti all’impossibilità di vivere armoniosamente con se stesso.

Gli strumentisti, “atleti della musica”, desiderano una rapida scomparsa dei sintomi e un recupero più che veloce, immediato.
Diventa quindi fondamentale che dedichino tempo e attenzione alla correzione di posture statiche/dinamiche e all’economia del gesto musicale, limitando il tempo delle posizioni statiche, evitando i possibili squilibri tra muscoli agonisti e antagonisti e non trascurando, per ultimo, la sfera emotiva ed emozionale al fine di ridurre contratture muscolari, spesso involontarie, e prevenire recidive.

Proprio nell’ambito della conoscenza e della prevenzione nel mese di gennaio 2010 prenderà il via un progetto-pilota all’interno del Conservatorio di Como i cui destinatari saranno gli allievi di viola e di violino di età compresa tra i nove e i ventuno anni.
L’Osteopatia come prevenzione e aiuto nelle disfunzioni fisiologiche posturali degli strumentisti ad arco nasce dal desiderio/necessità del Maestro Giuseppe Miglioli di fornire ai propri allievi, accanto alle conoscenze sul funzionamento dello strumento e alle nozioni di storia della musica, l’acquisizione degli elementi base in relazione all’anatomia e al funzionamento del proprio corpo.

E’ stato quindi redatto dalla scrivente, Fabìola Marelliosteopata, un progetto didattico avente come obiettivo generale l’esecuzione musicale ottimale attraverso l’acquisizione di una postura di riferimento individualizzata e corretta a due target di studenti (9÷14anni; 15÷21anni), a cui rivolgersi con modalità espressiva e gestuale differente per accompagnarli al raggiungimento degli obiettivi specifici (Distinzione degli stimoli emotivi interni/emotivi esterni, Distinzione tra le forme di rigidità, Differenze tra studio statico e in movimento della postura, Autopercezione e dialogo col proprio corpo).

I giovani allievi strumentisti non si discostano poi così tanto dai loro maestri professionisti.
Oltre alla postura scorretta, sia in statica che in dinamica, condividono l’intensa determinazione, il desiderio di suonare, l’animo sensibile dell’artista associato al desiderio di perfezione.
Il punto di partenza per la pianificazione del programma di recupero funzionale è la ricerca del fattore, oppure dei fattori, predisponenti la sintomatologia attraverso una diagnosi di esclusione in quanto, per gran parte dei disturbi manifestati dagli strumentisti, non si osservano diminuzione di forza o alterazioni della sensibilità e dei riflessi.
La diagnosi di esclusione acquista valore se effettuata dapprima col soggetto senza strumento e poi con lo strumento (in statica e in dinamica).
Non vi sono attualmente esami strumentali che possano confermare la diagnosi.
La fisiologia funzionale, applicata alla morfologia specifica di ogni strumentista in virtù dello schema agonisti/antagonisti, serve da rieducazione per il nuovo adattamento gestuale rispetto allo strumento.
Il musicista del ventunesimo secolo, che vive in un mondo in cui il reale sta velocemente cedendo il campo all’ irreale virtuale fatto di suoni, di rumori, di apparecchiature impossibili, quasi sempre desidera tornare a immaginare, a credere nella magia e nel sortilegio, accarezzando il sogno di dominare con le sue mani strumenti impossibili e impossibili idee.

Tornano in mente le parole di Mozart:
“Tre cose sono necessarie ad un buon musicista: la testa , il cuore, e la punta delle dita”
e quelle di Still:
“Una mano sensibile e un cervello intelligente sono le uniche cose che fanno ottenere un buon risultato”.

 

Fabìola Marelli
Osteopata e pianista

 

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